Una società dove una funzione viene svolta sia da uomini che da donne non è soltanto maggiormente equa nel rispetto dei diritti umani, ma anche più efficiente e produttiva. E’ un’affermazione di buon senso, che trova conferma anche in un rapporto OCSE, dove si sottolinea quanta strada ancora ci sia da fare perché le donne abbiano una presenza paragonabile a quella degli uomini nei posti di responsabilità pubblici e privati.
Il fatto che esistano settori lavorativi o funzione pubbliche con poche donne, ha fatto concentrare la loro presenza in pochi altri settori, creando ulteriori squilibri. Mio figlio, che ha appena finito di frequentare le scuole elementari in una scuola privata, ha avuto solo insegnanti donne, se si esclude qualche ora d’inglese nel primo biennio che era di competenza di un maestro. L’altro mio figlio, che ha appena finito le scuole medie pubbliche, nel suo ultimo anno ha avuto solo insegnanti femmine e in tre anni solo due insegnanti di materie non principali (tecnologia e musica) sono stati uomini. Per non pensare alla scuola materna, dove in tanti anni non ho mai visto un educatore uomo.
E’ sano che un bambino venga educato solo da donne? Naturalmente no. Per tanti motivi, anche quello che vedendo le donne occupare solo certi posti si rafforzano inconsciamente stereotipi di genere nelle nuove generazioni, come hanno scritto nel 2018 Peter Birch e David Crosier nell’articolo Importa se gli uomini non insegnano? su Eurydice, sito specializzato in questioni educative della Commissione europea.
La sproporzione in Italia è particolarmente forte. Il rapporto OCSE Education at the glance segnala che le donne insegnanti in Europa sono il media il 68%, in Italia addirittura l’83%. Nella scuola dell’infanzia siamo al 97%. «Persistenti squilibri di genere nella professione di insegnante – scrive l’OCSE – hanno sollevato una serie di preoccupazioni». Il Regno Unito sta già cercando di correre ai ripari, promuovendo politiche che incoraggino gli uomini a scegliere l’insegnamento, ma in genere la sensibilità su questo tema è molto bassa nei governi.
E l’educazione non è l’unico settore a grande preponderanza femminile. Anche nella magistratura c’è una certa sproporzione, anche se per capirla occorre approfondire un po’ i numeri. Dal 2019 in Italia il CSM (Consiglio superiore della magistratura) ha segnalato che le donne sono un numero maggiore degli uomini. L’anno scorso su 9787 magistrati ordinari, 5308 sono donne, cioè il 54% del totale.
A prima vista sembrerebbe un settore dove la presenza di genere è particolarmente equilibrata, ma in realtà le donne sono per lo più concentrate in alcune sezioni. Per esempio, a Firenze la sezione famiglia del Tribunale, che si occupa di affidamenti dei minori, separazioni e divorzi, è presieduta da una donna e tutti i giudici sono donne. E’ una situazione che alimenta potenziali squilibri nell’interpretazione di leggi dove la differenza di genere ha un peso molto importante: si pensi al ruolo del giudice nel decidere il calendario di frequentazione dei figli di genitori separati o gli assegni di divorzio.
Come nella scuola, il pericolo è mantenere vivo un vecchio stereotipo, in questo caso, quello di un famiglia dove la donna debba badare ai figli e l’uomo lavorare, con tutte le ricadute del caso. E di non far progredire la società secondo una parità di genere che talvolta può anche essere sancita dalle leggi, ma che poi non si riesce a rendere viva nella realtà di tutti i giorni.
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