L’Italia, quest’anno, ci ha ricordato quanto sia fondamentale la presenza politica e la partecipazione nelle piazze.
Mostrare la nostra disapprovazione per alcune decisioni governative è un dovere civico: la responsabilità politica non finisce con il voto, ma continua ogni giorno. Significa informarsi, vigilare su ciò che accade in Parlamento e nei governi locali, e manifestare quando le scelte dei nostri rappresentanti non rispecchiano i valori e gli interessi del popolo.
I politici non sono figure autoritarie a cui dobbiamo obbedienza cieca, ma rappresentanti che agiscono in nostro nome. Quando questo principio viene meno, non è l’obbedienza ma la consapevolezza e la partecipazione popolare a dover prevalere.
Eppure, in un’epoca in cui cresce l’ammirazione per figure forti e autoritarie, sembra sempre più difficile ricordare che la democrazia è, prima di tutto, un esercizio collettivo: decidiamo insieme, e chi ci governa è solo il portavoce della nostra volontà.
Il 3 ottobre ha ricordato al popolo italiano la forza della propria voce. Tuttavia, anche in quel momento, invece di riconoscere il ruolo dei cittadini e dei movimenti sociali, molti hanno attribuito il merito dei cambiamenti politici a una figura esterna: Donald Trump.
Si è diffusa la narrazione secondo cui la fine del conflitto in Medio Oriente sarebbe il risultato di una sua abile manovra diplomatica. Ma questa versione non corrisponde alla realtà.
In realtà, è accaduto il contrario: sono stati i paesi arabi a esercitare forti pressioni su Trump per indurlo a fermare la distruzione di Gaza. L’Arabia Saudita, ad esempio, il 19 settembre scorso ha stretto un accordo strategico con il Pakistan, entrando di fatto sotto il suo ombrello nucleare. Una mossa paragonabile all’articolo 5 della NATO, che ha rappresentato un duro colpo diplomatico per Trump.
L’Arabia Saudita ha agito così in risposta al bombardamento del Qatar del 9 settembre, autorizzato da Israele con il consenso tacito degli Stati Uniti. Di fronte a questa escalation, Riad ha voluto inviare un segnale chiaro a Washington: “Se non fermi questo massacro, perderai la nostra fiducia e la nostra alleanza”.
Contrariamente a quanto sostiene Giorgia Meloni, le manifestazioni popolari non sono state irrilevanti. Al contrario, hanno contribuito a creare una pressione internazionale che ha costretto Trump a riconsiderare le sue scelte, temendo di perdere l’appoggio dei suoi alleati più importanti – Arabia Saudita, Canada, Regno Unito, Australia, Francia e altri ancora.
Tutto questo dimostra che l’Italia, come altri paesi europei, vive ancora una condizione da “Stato satellite”, in cui la narrazione pubblica tende a celebrare il potere esterno invece di valorizzare la voce dei cittadini.
Oggi, alcuni media lodano Trump come un liberatore, ma non merita la nostra gratitudine. La nostra fiducia appartiene a chi, nelle piazze e nelle strade, ha avuto il coraggio di farsi sentire.
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DonateDonate monthlyDonate yearlyEirini Lavrentiadou is an actress and singer, born in Thessaloniki in 1992. She lives in Florence, where she trained at the city’s Theatre Academy and the Fiesole School of Music. She has performed in classical Greek and European plays, worked with international directors and companies, and appeared in concerts ranging from opera to jazz. She contributes to Florence Daily News as a writer.