Site icon Florence Daily News

Figli: dategli il cognome della madre, ma fateli stare anche con i padri

FIRENZE – Il ministro delle pari opportunità e della famiglia Elena Bonetti ha detto che è tempo per le donne di poter dare il proprio cognome ai figli. Bonetti stava parlando a una conferenza in occasione del 60° anniversario di una sentenza dell’alta corte che ha aperto le principali carriere italiane alle donne. Le donne in Italia generalmente mantengono i loro cognomi, ma i bambini prendono il nome dai loro padri.

E’ un argomento giusto da introdurre nel dibattito politico perché mette l’attenzione sulla piena parità fra i genitori di fronte ai figli. Cosa che in Italia ancora è ben lontana dal diventare concreta. Non solo per il cognome che il bambino porterà per il resto della sua vita, ma in tanti altri settori, come nel principio della bigenitorialità. 

Dopo la Convenzione sui Diritti del Bambino di New York del 20 novembre 1989, nel mondo si è diffuso sempre di più il concetto che un bambino ha il diritto di avere un rapporto continuativo con entrambi i genitori, anche se si separano. 

Quasi 15 anni dopo, l’Italia con la legge 54/2005 ha introdotto il concetto di bigenitorialità, per garantire il diritto dei figli a mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori, anche in presenza di separazione.

Ma nella realtà, dopo altri 15 anni, questo principio resta per lo più teorico. In Italia, infatti, i tribunali tendono ad affidare i figli sempre alle madri, relegando ai padri solo ritagli di tempo settimanale (in genere, un giorno a settimana e week end alternati).

È un meccanismo che penalizza i padri, relegandoli al ruolo di lavoratori che devono solo pagare il mantenimento, ma anche le madri, legandole ancora di più al vecchio stereotipo della casalinga che deve crescere i figli. E soprattutto penalizza i bambini che dovranno crescere principalmente con un solo genitore in caso di separazione. Una circostanza sempre più frequente, considerando che solo nell’ultimo anno sono state 150mila le richieste di divorzio in Italia.

In altri Paesi la situazione è ben diversa. Nel nord Europa il tempo trascorso con i figli è per lo più paritario e l’assegno è a carico del coniuge con maggiori possibilità economiche, indipendentemente dal fatto che sia il padre o la madre, in Finlandia i tempi che i tribunali danno ai padri sono addirittura maggiori rispetto a quelli delle madri, più impegnate professionalmente. Infatti, i Paesi dove maggiormente le donne hanno possibilità di carriera sono anche gli stessi dove la bigenitorialità è in fase più avanzata.

Ma non è solo il nord Europa ad aver capito che la chiave per i diritti delle donne è coinvolgere i padri maggiormente nella crescita dei figli. In Francia un padre può stare a casa 28 settimane quando nasce un figlio e in Grecia è stata appena approvata una legge che stabilisce parità di tempo con i figli fra madri e padri in caso di separazione.

Secondo una ricerca dell’OCSE, l’uguaglianza di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma una chiave di volta di un’economia prospera e moderna che fornisce una crescita sostenibile e inclusiva.

In Italia il dibattito è adesso concentrato sul cognome da dare ai figli, ma sarebbe utile iniziarne uno senza preconcetti anche su come garantire una piena e vera bigenitorialità di fronte ai figli.

Exit mobile version